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WILD PATH

Ci sono sempre piaciuti i trekking. Matteo è un camminatore seriale da quando è piccolo e l’amore che prova per la montagna è palpabile. Io, Anna, un po’ meno. Un po’ per mancanza di tempo e un po’ perché ero più da mare. Con il tempo e con le avventure che ci hanno accomunato in questi anni come coppia, io e Matteo abbiamo sempre scelto di buttarci in camminate di ogni tipo. Durante i due anni in Nuova Zelanda, tra un lavoro e l’altro, coglievamo l’occasione di trascorrere il nostro tempo libero in qualche national park, mossi dalla curiosità e dalla voglia di esplorare questo paese dove la natura è rigogliosa. A piedi, però, non avevamo mai fatto nulla. Per carità, apparte qualche cammino tra un paese e l’altro, ma niente di troppo duraturo, direi ‘challenging’. Ci siamo messi quindi a studiare, a guardare la cartina dell’isola, a osservarla da ogni angolazione e da tutti quei punti a cui aspiravamo. Eravamo a conoscenza del Te Araroa, un trekking che si snoda per tutta la Nuova Zelanda per circa 3000 km ma non avevamo molto tempo per farlo allora dato che l’isola del sud ancora non era stata battuta dai nostri piedi, abbiamo avuto l’idea geniale: prendere un traghetto da Wellington, a sud dell’isola del Nord, e arrivare a Picton, a nord dell’isola del Sud e lì iniziare il nostro viaggio con soli tre ingredienti: il nostro zaino, le nostre scarpe e la nostra fatica. ​ Perché a piedi? Perché non costa nulla. E’ un’attività semplice e la si può praticare ovunque, ma soprattutto ci invita a rallentare, a mettere in pausa quel ritmo frenetico da cui siamo tanto contraddistinti, per ricordarci che il tempo muta sempre e che nei momenti di più profonda riflessione, dobbiamo ricordarci cosa ci rende davvero felici. Quindi, con i nostri zaini da 14 kili sulle spalle, il nostro cappellino per ripararci dal sole e il nostro sorriso stampato sulle labbra, ci buttiamo nella mischia. Picton si presenta carina, un piccolo paesino da cui partono le barche per raggiungere Ship Cove, la nostra prima tappa del Queen Charlotte track. Camminare su quel sentiero, nella regione del Marlborough è una di quelle cose che vuoi fare almeno una volta nella vita. ​ Un trekking cui la durata varia dai 3 ai 5 giorni di percorrenza, battuto da famiglie, coppie, anziani. Qui non c’è limite d’età basta solo tanta energia e voglia d’iniziare. Iniziamo ad addentrarci nella natura, lo scenario è da togliere il fiato perché alterniamo il blu del mare con il verde della natura che ci circonda. Non c’è un singolo rumore che può urtare la nostra sensibilità ma solo i suoni dello scrosciare dei ruscelli che troviamo di tanto in tanto, ottimi per ricaricare le borracce. Gli uccelli, di ogni tipo, che con il loro richiamo ti fanno sentire meno soli. ​ Ehy, però è bello tosto! Dopo un paio d’ore iniziamo a sentire le spalle indolenzirsi, le gambe tirare in tutti i modi, il fondo dello zaino che urta il bacino portandomi a mettere la felpa in mezzo per attutire il colpo, consapevole che non servirà a molto ma anzi, a ricordarmi che è normale sentirsi cosi. Concentrazione dai, mettiamo uno stop alla mente. Talmente il respiro è affannato che provo a tirare su lo sguardo e vedo Matteo piu avanti di me, a passo deciso che non fa una piega. Assurdo, gli invidio come sempre la sua tenacia e la sua forza di volontà. Mi fermo, appoggiandomi ad una roccia, bevo un sorso d’acqua e mi guardo intorno: questo si rivela un motivo abbastanza valido per continuare con piu decisione. Ce la posso fare! Ce la possiamo fare! I bastoncini aiutano a sopperire il peso degli zaini che dopo l’ennesima salita si fanno sentire. Tra una rottura di fiato e l’altra, arriviamo finalmente in salita consolandoci con una barretta energetica o un cucchiaino di burro d’arachidi per ripristinare l’energia, consentendoci di alzare lo sguardo e gioire dello spettacolo di fronte ai nostri occhi. Vedere i fiordi e il colore dell’acqua che muta a seconda del sole e delle nuvole che fanno capolino nel cielo, è un qualcosa di inspiegabile, una di quelle sensazioni uniche che difficilmente ti si ripresenteranno nella stessa maniera. Questi paesaggi ci aprono gli occhi, a me specialmente, e ci fanno rendere conto che per quanto sia stato duro l’approccio iniziale con il trekking, c’è sempre qualcosa dietro l’angolo pronto a farti ricredere. ​ Allora riprendi con uno sprint diverso e il resto della camminata la fai con talmente tanto spensieratezza che non guardi neanche piu la mappa e improvvisamente ti ritrovi nel campeggio allestito da dei signori sulla 70ina, paghi la piazzola e puoi finalmente rilassarti. Ci siamo riusciti! I primi 30 km a piedi! ​ Il campeggio è essenziale, i bagni sono nascosti dalla fitta vegetazione e andando oltre ai tavoli da picnic, ci accorgiamo che c’è un piccolo sentiero che ti porta sulla spiaggia… direi un ottimo modo di concludere l’anno. Ebbene si, perché abbiamo scelto di iniziare questo cammino l’ultimo dell’anno 2020, un anno che è stato tosto dal punto di vista mondiale, con l’auspicio di poter iniziare a riconquistarsi un po’ di libertà. Non a caso facciamo la conoscenza di Bruce e Theresa. Questa coppia di 75 anni ci raccontano di come un paio di anni fa abbiano attraversato tutta la Nuova Zelanda a piedi in circa sei mesi e di come questa “vacanza” lungo il queen charlotte serva a godersi le giornate e a dispensare consigli a giovani trekkers come noi. In loro ritroviamo la premura da parte di due genitori ma anche la complicità di vecchi amici, quelli sempre con la battuta pronta. Ci aiutano a sostenere il nostro spirito, quello spirito del viaggiatore, quello da cui siamo sempre stati affascinati nei libri storici, nelle storie che ci raccontavano da piccoli. Facciamo tesoro delle loro parole, ci rintaniamo nella nostra tenda consapevoli che ogni persona che incontreremo durante il nostro cammino ci lascerà un insegnamento. I giorni successivi si fanno sentire, sarà perché le gambe accusano lo sforzo del primo giorno, ma niente paura, interfacciandoci con i nostri demoni interiori, spazziamo via i pensieri negativi relativi alla stanchezza, alla fame e continuiamo il nostro percorso. Ogni giorno si presenta diverso dall’altro. Si passa dal sole alla pioggia, al vento a pioggia di nuovo ma le nostre gambe oramai vanno da sole, in discesa, in salita di nuovo, un tornante dopo l’altro per ritrovarsi dopo due giorni consci del fatto di essere riusciti a fare con le proprie forze ben 70 km in tre giorni. Notevole per essere persone che non hanno mai fatto multi-day trekking. ​ Salutiamo il mare che ci ha emozionato ad ogni salita e ad ogni arrivo in campeggio, salutiamo tutti quei tipi di uccelli tipici new Zealandesi sapendo che ne avremo incontrati altri sul nostro percorso. Guardiamo l’insegna del Queen Charlotte e vediamo altre persone iniziare il nostro stesso percorso ma nella parte opposta. Gli sorridiamo sapendo quali gioie e dolori proveranno ma non gli roviniamo la sorpresa e abbozzando un timido sorriso continuiamo la nostra camminata. ​ Il sentiero incontra l’asfalto e questo ci fa capire che stiamo tornando nella civiltà. Dito alzato e via, pronti a fare autostop e a raggiungere il primo paese vicino con l’intento di ricaricare lo zaino di cibo e di farsi una bella doccia calda. Dopo neanche 5 minuti ci carica una coppia di signori inglesi, li in vacanza, incuriositi dal nostro bel da fare e dai nostri ingombranti zaini. Una valanga di parole esce fuori come un fiume in piena, evidentemente i giorni in piena solitudine hanno sortito uno strano effetto e ci ritroviamo a raccontargli della nostra pazza idea, della nostra voglia di immergerci in questi sentieri cosi selvaggi, a stretto contatto con la natura e la voglia di contare solo sulle nostre gambe e perché no, un pizzico di fortuna da parte di altri viandanti come noi che incontreremo sulla strada. Uno degli incontri piu significativi fatti grazie all’autostop però dobbiamo dire che è stato quello avvenuto con Jili, una signora inglese sulla settantina d’anni, spavalda, senza filtri sbucata da uno di quei film in cui hanno già pronte in canna alcuni discorsi che ti sconvolgeranno letteralmente. Tempo di sistemarci sui sedili reclinati tra quadri e scatole, inizia a farci alcune domande. “Cosa vi porta qui ragazzi?” Ci dice Jili mentre si accende una sigaretta. “Vogliamo andare verso la Golden Bay, abbiamo sentito parlare molto bene dell Heaphy Track e vorremmo farlo, prima di tornare nell’isola del nord” Ed ecco che allora Jili si scatena, inizia a farci i complimenti e si commuove un po’ guardandoci. Ci dice che le ricordiamo lei stessa a 20 anni quando si accingeva a percorrere l’hippie trail con solo il suo zaino, un sorriso stampato in faccia e il dito sempre alzato per chiedere un passaggio. E’ assurda la vita: ti mette dinanzi ad incontri puramente casuali che di casuale non hanno niente. Ti mostrano come la vita possa prendere certe sfumature e di come le tue azioni non sono altro che azioni ripetute da altre persone ma in momenti storici differenti e ti rendi conto che non esiste barriera, etnia, lingua differente a fermare quel circolo vizioso composto da curiosità e voglia di esplorare. Veniamo lasciati a Collingwood, paesino della Golden Bay affascinato sul lago, dove passata la notte, chiederemo un nuovo passaggio per raggiungere l’inizio dell’ Heaphy Track, uno dei Great Walks new zealandesi, una camminata di ben 80 km. Un percorso a senso unico ma che puoi anche attraversare da tutti e due i punti d’inizio..noi essendo arrivati dalle montagne, spunteremo proprio sul mare, l’adrenalina è alle stelle proprio per quello. ​ RIspetto a molti altri trails, l’Heaphy Track rientra nei trekking piu apprezzati dai new zealandesi in quanto in primis sono molto piu tranquilli, turisticamente parlando, e inoltre i paesaggi cambiano talmente tanto che difficilmente ti annoiano. Si passa dalla montagna alle foreste, alle piante, alle foreste tropicali concludendo alle spiagge selvagge della costa occidentale. ​ Piu di tutto però, racchiude una storia molto particolare. L’Heaphy Track si trova nella Golden Bay e per molte generazioni i Maori si sono sempre recati nel Westland centrale dove cercavano la Pounamu, la famosa giada verde, simbolo per antonomasia della Nuova Zelanda e utilizzata da decenni per armi, strumenti di ogni genere e successivamente ornamenti. Seguirono un sentiero fino a Whakapoai ( dove appunto si trova il fiume Heaphy) e percorsero anche la costa insidiosa a nord, rischiando la vita per via della forza prorompente delle onde che si scontrano sulle scogliere ma non solo. Nel 1846 Charles Heaphy insieme a Thomas Bruner furono i primi europei ad attraversare la parte costiera, proprio quella che i maori riuscirono a stento a superare. Per quanto riguarda la parte interna, rimase imbattuta per piu di un decennio ma si presuppone che un cercatore d’oro di nome Aldridge l’abbia attraversato per primo nel 1859, seguito nel 1860 da James Mackay, un guardiano di Collingwood ( non a caso una delle nostre tappe preziose da dove siamo partiti per avventurarci all’interno del trail).Solo però nel 1965, la pista venne pulita adeguatamente, contando che nei primi del 900 era perennemente coperta da vegetazione. E cosi il servizio forestale si occupo di migliorare le strutture e ora il percorso che abbiamo attraversato è ancora li pronto per essere battuto da tanti altri viaggiatori, esploratori alla ricerca di un forte contatto con la natura. Per questi motivi tutti i percorsi a piedi che abbiamo solcato con le nostre gambe e i nostri piedi lungo l’isola del sud ce li siamo goduti dall’inizio alla fine, con i momenti di sconforto, con le battute d’arresto ma anche con lo stupore, con la felicita e con la condivisione nei confronti di persone a noi sconosciute. Sfidare noi stessi ci ha sempre aiutato, oltre che a porci degli obiettivi, a capire quali limiti potessimo superare e da che cosa potevamo imparare a fare meglio. Ed è per quello che arrivi a fare l’impensabile, a caricarti giorno dopo giorno uno zaino da 15kili su superfici che cambiano di continuo, le vesciche che si formano ricordandoti che magari puoi anche fermarti, usare ago e filo e far respirare la pelle cosi da riprenderti prima e tornare sul cammino piu forte di prima. Questo viaggio lungo quest’isola ci ha permesso di capire come ogni giorno sia diverso dall’altro. Ogni giorno alle prese con i propri limiti, con albe differenti e altrettanti tramonti in posti assurdi. Arrivare ad una tappa dopo l’altra consapevoli del fatto che troveremo una tana, un rifugio dove poterci ricaricare, con la consapevolezza di aver conquistato l’ennesimo traguardo.

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